Che cos’è l’autismo e quali ne sono le cause?
I disturbi dello spettro autistico (Autism Spectrum Disorder, ASD), chiamati più semplicemente anche solo autismo, o meglio ancora autismi, sono un disturbo del neurosviluppo. Essi rappresentano una condizione eterogenea e possono manifestarsi in modo diverso tra le persone e in diverse fasi della loro vita. Si utilizza la parola spettro per indicare la varietà attraverso cui questo disturbo si manifesta e la relativa variabilità in fatto di gravità. Spesso si usano le espressioni ‘a basso funzionamento’ o ad ‘alto funzionamento’ per indicare, con la prima un funzionamento cognitivo inferiore a 70 di QI e con la seconda un funzionamento cognitivo superiore a 70. Il disturbo è caratterizzato da carenza (o assenza) nella comunicazione e nella socializzazione e da interessi ristretti e limitati, e comportamenti ripetitivi. Una persona su 70 circa (ma l’incidenza sta crescendo, ma sempre con un rapporto maschi/femmine di 4:1) vivenello spettro, di cui la maggioranza non riesce ad avere un trattamento basato su valutazioni personalizzate e su prove di evidenza. Per questo motivo, l’autismo è una condizione complessa sia per chi ne soffre che per i famigliari.
Le cause dell’autismo sono ancora sconosciute. La maggioranza degli studiosi è d’accordo nell’affermare che esse possano essere di natura genetica, ma un gene per l’autismo, nonostante i progressi, non è stato ancora trovato e forse non si troverà mai perché concorrono molti geni, oltre a cause neurobiologiche e fattori ambientali. In ogni caso, le osservazioni sulle possibili cause sono:
- la familiarità, infatti molte persone autistiche hanno, o hanno avuto, parenti con problematiche analoghe;
- l’essere portatori di determinate malattie genetiche (sindrome di Rett, sindrome di Angelman, ecc). Per motivi ancora poco chiari, l’autismo è associato anche ad altri disturbi, tra cui l’ADHD, la sindrome di Tourette, l’epilessia, il disturbo ossessivo-compulsivo, ecc.;
- il coinvolgimento di alcuni geni associati alla sfera del neurosviluppo (struttura e funzioni dell’encefalo);
- la nascita di neuroni anomali che non riescono a creare giuste connessioni con le altre cellule nervose del cervello, al punto da provocare uno scorretto funzionamento dell’intero organo;
- parto prematuro;
- abuso di alcool e farmaci da parte della madre durante la gravidanza;
- l’esposizione del feto ad inquinamento continuo;
- eventuali infezioni contratte dalla mamma durante il periodo di gestazione;
- l’età avanzata dei genitori al momento del concepimento.
Un genitore come può accorgersi che il proprio figlio è affetto da autismo?
I primi sintomi di questo disturbo si possono manifestare intorno ai 2-3 anni e sono estremamente variabili, sia per entità che per gravità. Ogni paziente rappresenta un caso ben distinto e diverso da qualsiasi altro. In generale, comunque, i sintomi distintivi e più comuni sono:
- ritardo nello sviluppo del linguaggio;
- ripetizione frequente di parole o frasi;
- monotonia nel suono della voce e mancanza di espressioni facciali;
- ripetizione di movimenti come un dondolio o il battito di mani;
- eccessiva sensibilità a luci intense e suoni acuti;
- disinteresse verso qualsiasi forma di interazione sociale;
- mancanza di emotività;
- tendenza a isolarsi;
- scatti di aggressività improvvisi e senza motivo e tendenza all’invadenza;
- sviluppo sopra la norma di potenziale cognitivo, memoria, capacità di calcolo, abilità musicali e matematiche;
- mancanza di coordinazione nei movimenti.
Con la crescita, la sintomatologia della persona con autismo può cambiare sia in meglio che in peggio. L’inquadramento medico dei segni dell’autismo si avvale delle indicazioni del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-V).
Campanelli d’allarme
Purtroppo, però, spesso la diagnosi viene fatta in ritardo, anche intorno ai 5 anni. Una diagnosi precoce, attorno ai 2 anni, consentirebbe di poter attivare per tempo trattamenti intensivi e precoci.
In realtà, prima dei 2 anni di vita del bambino è possibile individuare degli indicatori di rischio che variano con l’età: dall’assenza della ‘sincronia interattiva’ (produzione con il corpo di una serie di micromovimenti in risposta al linguaggio umano) nei neonati di poche settimane di vita, all’assenza di sorriso sociale e manifestazione di gioia intorno ai 6 mesi, dalla mancanza di orientamento ai suoni e alle espressioni facciali a 9 mesi, all’assenza di risposta se chiamati per nome a 12 mesi; età quest’ultima in cui è spesso assente la lallazione o alcuni idiomi tipici dei bambini a quell’età, così come mancano gesti con chiara valenza comunicativa, quali salutare, indicare, mostrare, ecc. Intorno ai 16 mesi, invece, ciò che dovrebbe destare preoccupazione consiste nell’assenza di singole paroline pronunciate vocalmente, mentre a 24 mesi l’assenza di frasi composte da due parole (molto spesso se sono presenti consistono principalmente in ripetizioni di frasi sentite alla televisione o sentite pronunciare dagli adulti di riferimento).
Comunque, l’iter diagnostico prevede il coinvolgimento di diversi professionisti (neuropsichiatri, psicologi, ecc.) e necessita di una serie di test valutativi diagnostici (ad esempio, ADOS-2, ADI-R, ecc.) e funzionali (ad esempio, VB-MAPP, PEP-3, IPF, ecc.), come un esame obiettivo capace di stabilire il grado di sviluppo del linguaggio, del comportamento e delle capacità comunicative. Saranno quindi le valutazioni neuropsichiatriche, psicologiche e di medicina generale a caratterizzare i bisogni terapeutici, non solo sanitari, del paziente nello spettro autistico. Potranno anche essere effettuate analisi genetiche volte a stabilire la possibile natura di alcuni sintomi.
Anche i genitori e gli insegnanti, se il bambino frequenta la scuola, sono coinvolti nella valutazione: a loro è richiesto di compilare uno o più questionari che servono a chiarire aspetti emotivi, cognitivi e comportamentali del paziente. Effettuare una valutazione accurata è di fondamentale importanza affinché venga definita la terapia più adeguata.
Le persone con autismo come elaborano le informazioni provenienti dal mondo esterno?
Quando parliamo di ‘elaborazione’ ci riferiamo al nostro modo di percepire le informazioni che ci arrivano attraverso i sensi e le integriamo, nel nostro cervello, per attribuirvi significato e coerenza e poter dare una risposta soddisfacente alle esigenze ambientali.
Tale capacità elaborativa nell’autismo, comune ad un certo numero di persone, a differenza di quanto accade nelle persone con sviluppo tipico, può assume caratteristiche diverse. E’ sequenziale (fare le cose una alla volta piuttosto che occuparsi di più compiti contemporaneamente), orientata ai dettagli (l’iperselettività dello stimolo che favorisce la concentrazione su un aspetto ‘locale’ anche se non è rilevante per l’apprendimento) e specializzata (interessi ristretti e limitati); eccelle nella memorizzazione di fatti o immagini, e comprende meglio un’informazione visiva rispetto ad una verbale.
Come abbiamo visto, le persone con autismo hanno un gran numero di talenti specifici, ma cosa succede quando interagiscono con l’ambiente? È qui che si verificano i problemi. Il mondo esterno è variabile e imprevedibile, ed è governato da regole spesso ambigue e astratte. Le interazioni sociali, oltre a richiedere di fare inferenze basandosi su informazioni poco chiare, richiedono l’elaborazione di un gran numero di stimoli in parallelo. Quindi, la persona con autismo si difende preferendo relazionarsi con persone e ambienti prevedibili e facilmente controllabili, avendo routine più o meno fisse, pianificando i compiti e anticipando problemi o ostacoli prima che si verifichino.
Come si può intervenire per migliorare la qualità della vita delle persone con autismo?
Il trattamento del disturbo autistico è strettamente individuale e dipende dalla valutazione di tutti gli aspetti evidenziati durante la fase osservazionale: l’intervento è sul soggetto non sulla diagnosi! La definizione del profilo individuale è di estremo aiuto a rendere il percorso abilitativo il più efficace possibile in relazione alle principali difficoltà cognitive, emozionali e comportamentali riscontrate, ma anche in relazione ai possibili punti di forza del bambino. Il programma di intervento deve comprendere diversi obiettivi e deve essere monitorato e aggiornato periodicamente.
Tra i programmi di intervento quelli ‘comportamentali’ sono i più efficaci e sono finalizzati a modificare il comportamento generale per renderlo funzionale ai compiti della vita di ogni giorno (alimentazione, igiene personale, capacità di vestirsi, ecc.), reindirizzando i comportamenti indesiderati. La maggior parte di questi interventi si basano sull’analisi applicata del comportamento (ABA, Applied Behavioural Analysis). Tale applicazione ha permesso di sviluppare molte tecniche educative adatte a diverse fasi dello sviluppo del bambino, e a diverse finalità educative che possono essere implementate sia in contesti ‘strutturati’ (DTT, Discrete Trial Teaching) e sia in contesti ‘naturali’ (NET, Natural Environment Teaching). In quest’ottica, il programma educativo deve essere sottoposto a regolare valutazione per verificare gli effettivi progressi e le eventuali difficoltà riscontrate, in modo da potere effettuare dei cambiamenti capaci di affrontare con maggiore efficacia i problemi riscontrati.
Un ulteriore aspetto che è emerso dall’esperienza e dalla ricerca clinica è che i familiari hanno un ruolo positivo nell’intervento terapeutico. Infatti, l’inserimento dei genitori/familiari nel programma educativo, con un adeguata formazione attraverso il Parent Training, aumenta gli spazi di intervento fuori dai Centri di Riabilitazione e permette un miglioramento delle interazioni nei confronti del figlio/familiare, aumentando la serenità del percorso di vita dell’intera famiglia.
In alcuni casi può emergere la necessità di ricorrere a una terapia farmacologica per affrontare a livello sintomatologico alcuni dei diversi problemi che possono accompagnare il disturbo (epilessia, iperattività, ecc.), ma è importante sottolineare che non esistono farmaci con una validazione specifica per il trattamento dei disturbi dello spettro autistico.
C’è da aggiungere che molti tipi di diete e/o integratori, oltre ad altri presunti trattamenti (animali, piscina, ecc.), sono stati suggeriti come trattamenti per l’autismo, in realtà, però, queste pratiche non sono sostenute da nessuna evidenza scientifica
Quando si parla di autismo siamo sempre portati a pensare ai bambini, ma cosa succede quando il bambino diventa adolescente e poi adulto?
Sin dall’introduzione del termine ‘Autismo’ si è pensata a questa come un disturbo presente e diagnosticabile principalmente nei bambini. Negli ultimi quindici anni le cose sono cambiate. Ora, l’interesse degli studiosi e della società è rivolto sempre di più verso gli adolescenti, i giovani adulti e gli adulti. Infatti, è una condizione di vita che perdura negli anni e, in cui, come i soggetti con sviluppo tipico, possono incontrare difficoltà nell’adattamento del corpo che cresce, nella sessualità, nella comprensione del mondo circostante e nell’esprimere desideri, opinioni, ecc. Tali cambiamenti possono essere così riassunti:
– nonostante l’aumento dell’età la persona con Autismo conserva le caratteristiche tipiche della sindrome soprattutto per tutto ciò che riguarda la sfera sociale;
– per la conquista delle autonomie personali gli esiti possono risultare abbastanza limitati;
– la sintomatologia può sembrare leggermente attenuarsi rispetto all’età evolutiva e possono evidenziarsi alcuni elementi che possono essere interpretati come fattori prognostici.
Tutti questi comportamenti portano inevitabilmente ad un isolamento sociale di queste persone e delle loro famiglie.
Sintesi Curriculum di Giovanni Maria Guazzo
Giovanni Maria Guazzo è membro dell’Applied Behavior Analysis International (ABAI), dell’European Association for Behaviour Analysis (EABA), dell’Association of Professional Behavior Analystis (APBA) e dell’AIAMC.
E’ stato coordinator, dal 2014 al 2020, di due Master (I e di II livello) in Applied Behavior Analysis (ABA) approvati dal Behavior Analysis Certificated Board (BACB). È Docente a Contratto presso diverse Università Italiane e Direttore Scientifico dell’“Istituto Hull. Laboratorio di Analisi del Comportamento”.
Ha realizzato diverse ricerche sul funzionamento mentale (sia con soggetti con sviluppo tipico che atipico) i cui risultati sono stati pubblicati in Riviste Nazionali (Cibernetica, Comunicazioni di Psicologia Generale, ecc.) e Internazionali (BioSystems, Chaos, Solitons and Fractals, ecc.), in Proceeding pubblicati da alcuni dei maggiori editori internazionali (W.S.P., Kluver, North Holland, Springer, ecc.) e in capitoli di libri pubblicati dalla Wiley.
Pubblicazioni
Ha costruito 12 strumenti di valutazione e/o diagnostici (SVAP, Q-VCA, IPF, ecc.) ed è autore di oltre 100 contributi scientifici pubblicati su riviste nazionali e internazionali e di 30 libri, tra i quali: “La sindrome di Down: conoscenze attuali e prospettive di cura” (Con J.A. Rondal, 2021), “L’ABA in azione. Una guida operativa per genitori, insegnanti e terapisti” (2021) e “IPF. Questionario per l’Individuazione del profilo di Funzionamento” (2022).