Di Filippo Vuocolo
La presidente del consiglio Giorgia Meloni ha annunciato, personalmente, via social di essere stata iscritta al registro degli indagati dalla Procura della Repubblica di Roma, insieme ai ministri Nordio e Piantedosi e al sottosegretario Mantovano, per i reati di favoreggiamento e peculato nell’ambito del caso Almasri, il comandante della polizia giudiziaria libica arrestato lo scorso 19 gennaio a Torino e rimpatriato 48 ore dopo con un volo di stato, nonostante il mandato di cattura emesso nei suoi confronti dalla Corte Penale Internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità.
Nel videomessaggio diffuso su X la premier ha imputato alla Corte dell’Aia un vizio di forma, ovvero la mancata comunicazione della richiesta d’arresto al ministero della giustizia, che avrebbe privato la Corte d’Appello di Roma degli elementi necessari per convalidare il fermo, rimettendo in libertà il generale libico e costringendo quindi il governo a espellerlo per tutelare la sicurezza nazionale.
Immuni dagli attacchi della Meloni non sono stati ovviamente gli artefici del procedimento giudiziario: il procuratore di Roma Francesco lo Voi, che ha notificato quello che la Meloni ha impropriamente definito “avviso di garanzia”; e l’avvocato Luigi Li Gotti, autore della denuncia che ha avviato l’iter giudiziario, entrambi accusati di vicinanza agli ambienti politici dell’opposizione.
Al di là dei cavilli giuridici, di diritto internazionale e non, a cui la maggioranza degli italiani, Meloni compresa, non è particolarmente avvezza, il tempismo della vicenda è alquanto sospetto, visto che nelle ultime settimane sono stati compiuti dei passi significativi verso l’approvazione della riforma della Giustizia, grande sogno della destra berlusconiana, platealmente contestata da vari esponenti della magistratura. Sospetto come il passato politico dell’avvocato Li Gotti, inconsapevole ex-compagno di partito della Meloni (militanza nel MSI e in AN fino al 1998) ma ex sottosegretario del Governo Prodi, o come i precedenti del magistrato Lo Voi, colui che, da PM di Palermo, avviò l’indagine contro il ministro Salvini per sequestro di persona nel caso Open Arms.
Una serie di coincidenze, presunte o tali, che sommate potrebbero rafforzare la narrazione del governo di un tentativo di “colpo di stato” da parte delle “toghe rosse” e paradossalmente fungere da collante per le forze di maggioranza, in questi giorni alle prese con la spinosa questione delle dimissioni del ministro Santanchè, riuscendo a mascherare anche le evidenti contraddizioni nell’operato del presidente Meloni, determinata a “fermare gli scafisti in ogni angolo del globo terracqueo”, salvo poi imbastire un volo di Stato per accompagnare in terra libica un aguzzino accusato di traffico di esseri umani.
Il dibattito politico delle ultime ore, infatti, si è concentrato prevalentemente sulla disputa tra centrodestra e giudici, sull’interpretazione dei cavilli giuridici della vicenda, oscurando una sicuramente ben più seria e interessante ma meno popolare analisi del rapporto tra politica e morale. In una vicenda costruita su segreti più o meno nascosti, si può ragionevolmente concludere che la liberazione di Alsrani sia dovuta ad accordi, anch’essi più o meno segreti, tra l’Italia e la Libia, sicuramente nell’ottica di una diminuzione dei flussi migratori, e che di conseguenza la Meloni abbia scelto di operare in un’ottica di difesa degli interessi nazionali e di rafforzamento dell’influenza geopolitica dell’Italia in Nord Africa. Senza voler scomodare Machiavelli, Hobbes o Hegel, Meloni ha agito in nome della ragion di Stato, proprio come fecero i tanto compianti e osannati Moro e Craxi proteggendo i terroristi palestinesi in cambio di una non belligeranza o, per usare esempi più recenti e politicamente vicini all’opposizione, l’ex ministro degli Interni del PD Marco Minniti, che riuscì ad ottenere una riduzione degli sbarchi firmando un controverso memorandum con la Libia, da allora sempre rinnovato dai governi successivi.
Insomma, dal PD a Fratelli d’Italia, passando per la Lega e i 5 Stelle, tutti, prima o poi, si sono seduti a tavolino a trattare con i libici, forse non tutti offrendo amazzoni e hostess col Corano in mano, piantando tende a Villa Borghese o baciando anelli come Berlusconi con Gheddafi, forse neanche con gli stessi risultati. Ma proprio per questo oggi, da destra a sinistra, a tutti conviene parlare degli avvisi di garanzia. Chi è senza peccato scagli la prima pietra e non parli della magistratura.