La rivoluzione di settembre è compiuta: nessuna domanda è gradita

Di Laura Naimoli

“Le ostilità tra le forze armate delle Nazioni Unite e quelle dell’Italia cessano all’istante”. Queste le parole, tra le altre, pronunciate dal generale Eisenhower, alle 18.30 ore italiane, l’8 settembre del 1943 e diffuse attraverso i microfoni di Radio Algeri che rendevano noto al mondo l’armistizio firmato a Cassibile, dopo tre giorni di segretezza. Mentre gli anglo americani sbarcavano a Salerno, iniziando a risalire verso Nord, alle 19.42 di quello stesso giorno, gli italiani apprendevano dai microfoni dell’Eiar- Ente italiano per le audizioni radiofoniche- il proclama del maresciallo Pietro Badoglio: il Paese abbandonava per sempre l’alleanza con la Germania di Hitler.

Tutto quello che venne dopo è storia nota. L’8 settembre rappresenta e sempre rappresenterà una data spartiacque per la costruzione dell’Italia democratica, quell’Italia che vanta la costituzione più bella d’Europa, che spesso fa un’enorme fatica a rendersi concreta nelle azioni, a partire dai suoi principi fondamentali.
Sono romantica, lo so, ma a me la Costituzione Italiana piace. Con il suo linguaggio straordinariamente efficace sancisce nei suoi articoli concetti di una logica e di una naturalezza disarmante. Uno a caso, caro a me e a chi fa il mio stesso mestiere, ad un certo punto recita così: “La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”. E’ l’articolo 21, quello in cui è scritto che “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero”, per intenderci.

Facendo le dovute proporzioni di carattere storico e senza voler azzardare improbabili paragoni, a distanza di 80 anni la storia si compie ancora, attraverso alleanze che cessano e armistizi che si firmano. Questa volta i fatti riguardano non il Paese, ma “un paese” che sulla carta è città ma che, nonostante la sua vocazione e la sua storia, non riesce ad emanciparsi, per molti aspetti, dalla dimensione provincialistica e zonale in cui ostinatamente resta, a volte quasi compiaciuto di sé.

8 settembre 2023. Alle 13.05 sulla chat WhatsApp utilizzata in modalità broadcast dall’Ufficio Stampa del sindaco di Eboli, arriva un comunicato stampa che annuncia la composizione della nuova Giunta Comunale e un documento politico in cui si celebrano gli obiettivi messi a segno in due anni di amministrazione.
La sintesi, in soldoni, è la seguente: grazie alla giunta in carica fino a ieri, abbiamo risollevato le sorti di una città disastrata- per dirla alla Crozza-De Luca maniera, della serie “prima di noi gli ebolitani camminavano sui gomiti, la piana era una palude e le bufale pascolavano in piazza della Repubblica”- tutti gli assessori del Conte 1 sono stati eroi valorosi e lavoratori (inde)fessi, ma tre li dobbiamo sostituire, nonostante siano bravissimi e capacissimi, perché la politica è fatta di equilibri.
Letti i due files allegati e archiviata la foto del neo assessore Cennamo, dall’Ufficio Stampa municipale è silenzio tombale. Un silenzio rotto solo dal copia e incolla di una rettifica del documento politico a firma dei consiglieri, giunto incompiuto, alle 13.31 e successivamente, alle 16.00, dall’arrivo di “Una foto più recente del vicesindaco”.

Più recente di quale, non è dato sapere. Ma forse il raffronto è da farsi con una foto risalente a 10 mesi fa, quando della verifica amministrativa che oggi si conclude, si iniziava a vociferare. Effettivamente, c’è da considerare che sono stati 10 mesi difficili e stancanti, fatti di strenue trattative, incontri, tira e molla, porte sbattute e riaperte, riunioni all’alba e al tramonto, sotto il sole e sotto le stelle. E ci sta che l’aspetto di chi questi 10 mesi li ha vissuti in prima linea possa apparire diverso, più stanco; che possa mutare, insomma. Del resto in un tempo molto più breve si cambia idea, cambiano le valutazioni e i giudizi, cambiano gli equilibri. Ma questo è un altro discorso e non ha a che fare con i fatti che, poi, sono la materia di cui sono fatti i giornali e, quindi, anche noi di Menamò.

E’ su quel silenzio nella chat dei giornalisti, pesante quanto eloquente, che è inevitabile soffermarsi. E una domanda si fa spazio nella nostra mente: dopo 10 mesi di crisi politica, un comunicato stampa del sindaco e un documento politico della maggioranza sono tutto quello che i giornalisti devono farsi bastare dai canali istituzionali? E una conferenza stampa a palazzo di Città che abbia come oggetto la verifica amministrativa non si sente l’esigenza di farla? Un momento aperto a tutti gli operatori dell’informazione locale, non solo i giornalisti ma anche i blogger e tutti coloro che hanno seguito le travagliate vicende politiche di questi mesi, in cui poter porre pubblicamente domande legittime al primo cittadino sulle scelte compiute, non vale la pena di convocarlo? Evidentemente no.
Della conferenza stampa sulla verifica amministrativa neppure l’ombra della convocazione. Ai giornalisti deve bastare la “velina”, a parer loro.

Sono le 16.24 quando, nella succitata chat giunge un comunicato stampa proprio sulla celebrazione dell’8 settembre. Una cerimonia fatta a Buccoli di Battipaglia e non a Eboli.
Nel corso delle ore successive nessun invito ai giornalisti arriverà. L’editto è reso noto e questo è. Ai giornalisti neppure il tentativo di mettere il bavaglio, no: forse sarebbe troppa la considerazione nei confronti di chi cerca di raccontare quello che accade, anche a livello politico, nel proprio territorio. O forse si preferisce evitare le occasioni di confronto e di contatto con chi, magari, potrebbe porre interrogativi non graditi. Meglio evitare, meglio dare la propria versione di fatti, senza possibilità di contradditorio. Senza dire più del risaputo. Perché alla fine, diciamocelo, questa crisi di maggioranza si è conclusa come già almeno 6 mesi fa si ipotizzava. Al netto degli scontri, al netto delle pretese avanzate, al netto dei nomi tirati in ballo e poi bruciati. Al netto del tempo perduto.

Ad un affezionato ascoltatore di Menamò che qualche giorno fa, nel corso di una diretta, scriveva che “Alcuni giornalisti vanno davanti al bar, prendono le notizie e fanno gli articoli” ho risposto che se gli uffici stampa facessero il loro lavoro, questo non accadrebbe. Oggi aggiungo che se il mestiere del giornalista fosse riportare i comunicati stampa e gli editti, senza poter fare domande, senza poter sollecitare risposte che aprano dibattiti, allora io e tanti come me avrebbero scelto di fare un altro mestiere.

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